AVVENTO – LA RAGIONE DELLA STAGIONE
La stagione dell’Avvento non riguarda tanto la preparazione al Natale quanto alla seconda venuta di Cristo. Prepararsi per la sua venuta finale ...
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Le origini del Papato si possono trovare nel dialogo tra Gesù e Simon Pietro in Giovanni 21, un vangelo tradizionalmente letto durante la Pasqua. La domanda “Pietro, mi ami tu?” È seguita dal comando “Pasci le mie pecore”. Il papa, pastore e successore di Pietro, ha un ruolo che non ha a che fare con il privilegio ma con il sacrificio.
In molte occasioni ho sentito non cattolici fare obiezioni sul papato. Spesso, dicono qualcosa del tipo: “Io non posso credere che un uomo sulla terra, il Papa, sia più santo di tutti gli altri.” Ma chi ha mai detto che essere senza peccato è un prerequisito o una conseguenza dell’ essere chiamato Papa?
Il fatto è che il Papa, il vescovo di Roma, è il successore di Pietro, che ha trascorso gli ultimi anni della sua vita guidando i cristiani della città eterna. E qui c’è un fatto interessante. Nessuno dei quattro vangeli canonici (per non parlare di Atti e Galati) cerca di nascondere il fatto che Pietro ha peccato spesso e peccato alla grande. Tra l’altro, se i capi “patriarcali, in controllo” della Chiesa cattolica presto alterarono la storia di Gesù, come suggerisce il Codice da Vinci, non pensate che avrebbero provveduto a “sistemare” queste storie imbarazzanti?
Eppure, mentre tutti sono d’accordo che Pietro fosse debole ed imperfetto, sono anche tutti d’accordo nel dire che gli venne data una responsabilità unica. Solo Pietro si trova il nome cambiato da Gesù stesso (da Simone a “Pietro”). Solo a Pietro è stato detto da Cristo la notte del Giovedi Santo “Ma io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli (Lc 22, 31-32). E quando Gesù, dopo la risurrezione, cucina una colazione a base di pesce per gli apostoli (Gv 21), è stato solo a Pietro che Gesù ha posto la domanda “mi vuoi bene?”
Ma perché Gesù gli fece la stessa domanda ben tre volte? Forse Pietro aveva bisogno di espiare la sua triplice negazione di Cristo con una triplice professione d’amore. Forse, data la serie di errori di Pietro, il Signore voleva essere sicuro d’essere capito bene questa volta. Ecco il messaggio:
“Pietro, il tuo modo di esprimere penitenza per il tuo peccato e l’amore per me sarà quello di alimentare le mie pecore. Ricordati, non sono le tue pecore, ma le mie. Prenditi cura di loro per me. Fa per loro quello che Io ho fatto per loro. Non basta dare loro da mangiare. Proteggile. Dai la vita per loro, se necessario “.
Il ruolo di Pietro come Pastore è, in un certo senso, unico perché è universale. Nonostante la sua fragilità umana, gli è stata affidata la cura di tutte le Chiese. E, se prendiamo Lc 22, 31-32 seriamente, egli è chiamato ad essere il pastore di tutti i pastori. Questa è una grande responsabilità. In realtà, è un peso così grande che non lo potrebbe mai compiere con i soli suoi mezzi. Ecco perché noi preghiamo per il Papa (ovvero padre) in ogni Eucaristia cattolica in tutto il mondo – lui ha bisogno della grazia dello Spirito Santo per compiere il suo ruolo. Il brano dove Pietro allunga le mani mentre altri lo portano dove lui non vuole andare – non si limita a fare riferimento alla sua crocifissione sotto Nerone, ma indica il quotidiano, il donare la sua vita per il suo gregge, il “martirio bianco” che abbiamo visto così chiaramente nella stanca ma inesorabile testimonianza di Giovanni Paolo II nel suo ultimo anno di vita.
In un altro modo, però, il ruolo di Pietro come Pastore non è unico. E’ un esempio per tutti noi pecore chiamate a diventare noi stessi pastori e leader, nonostante la nostra fragilità ed il peccato. Alcuni sono chiamati ad essere vescovi, successori degli apostoli, responsabili della cura pastorale di una porzione del gregge di Cristo. Alcuni sono chiamati ad essere sacerdoti e diaconi, che assistono un vescovo nella sua missione apostolica. Alcuni sono chiamati ad essere catechisti, ministri della gioventù ed insegnanti, che svolgono anche loro un ruolo nell’alimentare le pecore.
E la maggior parte di noi è chiamata ad essere genitori, i pastori di quella che il Concilio Vaticano II chiama “chiesa domestica.” I genitori, dice San Tommaso d’Aquino e San Giovanni Paolo II, hanno un ruolo pastorale molto simile a quello di un parroco. In realtà Giovanni Paolo II, nella sua lettera Familiaris Consortio, dice che i genitori cristiani esercitano “un vero e proprio ministero della Chiesa.”
A qualsiasi livello, la chiamata a nutrire e curare le pecore è una chiamata al sacrificio, non al privilegio. Essa ha i suoi momenti di esaltazione e di profonda soddisfazione, ma ha pure i suoi momenti di agonia. Ma se abbiamo imparato qualcosa dalla passione, è che la sofferenza è la vera e necessaria prova d’amore, così come la più autentica e potente espressione di amore. Cerchiamo quindi di non aver paura di essere pastori. Il Buon Pastore ci potenzia con il suo Spirito. E preghiamo con gratitudine e compassione per coloro che ci fanno da pastore.
Questo scritto su Pietro come pastore e il Papato viene offerto come riflessione sulle letture per la 3a Domenica di Pasqua, ciclo C (Atti 5: 27b-41, Salmo 30, Rivelazione 5: 11-14, Giovanni 21 1-19)
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